Orto Botanico (Napoli) maggio 2007
Ho tanta fede in te
che durerà
(è la sciocchezza che ti dissi un giorno)
finché un lampo d’oltremondo distrugga
quell’immenso cascame in cui viviamo.
Ci troveremo allora in non so che punto
se ha senso dire punto dove non è spazio
a discutere qualche verso controverso
del divino poema.
So che oltre il visibile e il tangibile
non è vita possibile ma l’oltrevita
è forse l’altra faccia della morte
che portammo rinchiusa in noi per anni e anni.
Ho tanta fede in me
e l’hai riaccesa tu senza volerlo
senza saperlo perché in ogni rottame
della vita di qui c’è un trabocchetto
di cui nulla sappiamo ed era forse
in attesa di noi spersi e incapaci
di dargli un senso.
Ho tanta fede che mi brucia; certo
chi mi vedrà dirà è un uomo di cenere
senz’accorgersi ch’era una rinascita.
(Eugenio Montale - Altri versi)
Questa poesia è davvero terribile e terrificante poiché ci dà una immagine dell’uomo così netta e crudele, viva e tetra: noi ci portiamo addosso la morte, e quindi non siamo altro che morti viventi, morti che parlano e pensano. Cioè la vera vita è la morte. Sapere di portarsi dentro la morte e sapere che ogni volto umano è il volto della morte è davvero tragico, per questo la vita diventa sempre un trabocchetto che ci fa sprofondare nel regno della morte improvvisamente e senza accorgercene. Per questa ragione gli uomini non riescono a dare un senso alla vita perché la vita non esiste, esiste solo la morte che se ne va a spasso confinata dentro il corpo dell’uomo. Il poeta conclude che per lui era una rinascita, mentre la poesia esprime esattamente il contrario: l’oltrevita è solo l’altra faccia della morte che portammo rinchiusa in noi per anni e anni.
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